In pochi a lavorare troppo

In pochi a lavorare troppo

L’allarme stavolta arriva dal Censis: in Italia ci sono troppe poche persone a lavorare troppo. Sembra un paradosso, eppure è quello che emerge dal secondo rapporto del Censis sul welfare aziendale redatto in collaborazione con Eudaimon.

È il tema a cui dedichiamo il nostro Editoriale di Febbraio, una situazione secondo cui il nostro Paese è tristemente in fondo alla classifica europea in termini di impiego: negli ultimi dieci anni (2007-2017) il numero di occupati in Italia è diminuito dello 0,3%. Vogliamo farci del male e dare uno sguardo altrove? Crescite consistenti nel resto del continente: in Germania (+8,2%), Regno Unito (+7,6%), Francia (+4,1%) e nella media dell’Unione europea (+2,5%).

Quello che è più grave, però, è la crescita della forbice tra chi è all’interno del mercato del lavoro e chi non riesce ad accedervi. Da qui, infatti, il paradosso di partenza. Il 50,6% dei lavoratori secondo il Censis afferma di aver lavorato con orari più lunghi e con maggiore intensità. Sono 2,1 milioni i lavoratori dipendenti che svolgono turni di notte e ben 4 milioni quelli che lavorano di domenica e nei giorni festivi. Anche se le nuove tecnologie hanno fatto la loro parte: 4,1 milioni di connazionali si trovano a lavorare da casa oltre l’orario canonico da contratto con e-mail e altri strumenti digitali. Infine sono 4,8 milioni coloro che devono lavorare oltre l’orario senza il pagamento degli straordinari.

Aumenta la forbice quindi tra chi ha un impiego, sempre più dedito al lavoro, e chi lo cerca invano, e continua a non riuscire a trovarlo. Benissimo, penserete voi, almeno per ore di impiego che aumentano ci sarà anche una crescita della ricchezza complessiva. Errore, perché il rapporto Censis mostra che la condizione peggiora. In pochi lavorano troppo, già, ma la forbice con i più ricchi aumenta anche in merito alla retribuzione. I compensi mensili di dipendenti ed operai non sono riparametrati al maggior impegno: in dieci anni tasche svuotate con un -2,7% delle retribuzioni. E questa forbice? È quella con i dirigenti, gli unici ad aver visto lievitare (+9,4%) gli stipendi.

E in un contesto di difficoltà generalizzata, al Sud va sempre un po’ peggio. Il Mezzogiorno vede ancora un calo dell’occupazione che si attesta al 34,3%. Rispetto a dieci anni fa la diminuzione parla del del 2,9% di posti di lavoro persi.

E intanto per il Paese che arranca piove sul bagnato. L’Istat certifica che anche nel quarto trimestre del 2018 il Pil scende (-0,2%). “Recessione tecnica” si dice, “emergenza” la chiamiamo al Sud. Speriamo che si trovi un rimedio, prima possibile.